SAVONARI » Testi http://www.savonari.com SITO UFFICIALE DI BALDO SAVONARI, PITTORE MITTELMEDITERRANEO E FONDATORE DEL TERZOFUTURISMO NEL 1986 Wed, 28 Dec 2011 22:51:33 +0000 en hourly 1 Rivisitazione analitica della “Battaglia” di Paolo Uccello http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/rivisitazione-battaglia-uccello.html http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/rivisitazione-battaglia-uccello.html#comments Thu, 21 Apr 2011 22:28:50 +0000 animaperla http://savonari.animaperla.com/?p=504 di Francesco Maria Veròla
pittore nell’anno della luce e del colore

Appartengo a quella stretta cerchia di persone che ha veduto nascere l’opera e poi, dopo un lungo periodo di intenso lavoro e di episodici ripensamenti, quasi miracolosamente completata. Ciò che subitamente mi ha colpito è stato il legame indissolubile tra l’armonia di una danza e l’impeto di una battaglia.

La sensazione dinamica scaturisce da quattro fughe prospettiche delle quali solo quella centrale resta indubbiamente la cerniera armonica della Composizione.
La concezione spaziale invece rispecchia un tutto in un perenne movimento e divenire così come nell’Universo, legato a traiettorie ben precise studiate in modo da tessere una maglia geometrica entro la quale, dinamica, colore e forma si sposano come gli strumenti vari nella sfera magica di un concerto.
Si tolga un solo mattone all’opera o lo si aggiunga ed essa crollerà.
La potenza e la freschezza della composizione è contaminabile solamente con le “parole” di colui che non riesce ad esserne partecipe o non lo vuole.
Lo penso che se il maestro Paolo di Dono, in arte Paolo Uccello, così simpaticamente proiettato nel futuro, fosse vissuto nel nostro tempo, avrebbe dipinto la “sua battaglia” non troppo dissimile da quella del Savonari, nella quale l’Artefice ripropone in chiave ultramoderna accenti futuristi e cubisti fusi con raffinata perizia a quei rigori tanto cari allo splendore del Rinascimento.
Sicché, per usare una frase di Piero Gobetti, possiamo ben dire che “il colore diventa il suono della Vista”. Quest’opera, che io considero del Terzofuturismo e battezzo “ATOMICO”(*), rivela la massima realizzazione dello spirito artistico del Savonari pronto sempre a nuove trasformazioni e avvenimenti, indispensabili per il fluire miracoloso e il rinnovarsi dell’Elemento di ispirazione.
La geometria della composizione, la scelta dei colori nei loro accostamenti lo spirito stesso dell’opera si esaltano nell’ inveramento della loro formula unitaria.
Non posso dar torto al maestro quando un giorno, mentre ammiravo alcune delle sue innumerevoli tele, mi disse:
“Non potrei e non saprei a nessun costo dipingere un duplicato di un mio soggetto: primo per un fatto di serietà professionale e poi perché per quell’opera la musa è ormai passata”.

Agosto 1986

(*) ATOMICO perché rappresenta e significa la vera natura delle “cose” in continuo movimento e trasformazione.
Anche coloro che promossero il movimento futurista avrebbero potuto chiamarlo “ATOMICO”, ma non lo hanno fatto!

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L’irrealtà della parete http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/lirrealta-della-parete.html http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/lirrealta-della-parete.html#comments Thu, 21 Apr 2011 22:26:26 +0000 animaperla http://savonari.animaperla.com/?p=502 di Giovanni Paolo di Panico – architetto

 

Tutti, o quasi tutti quelli che si interessano di Arte, sanno che la pittura, considerata oggi un’arte minore o di complemento, fu sempre utilizzata come elemento di enfatizzazione e spesso quale elemento correttore delle opere di architettura. Dove, per ragioni economiche o per imperizia dell’architetto, l’edificio risultava povero di carattere, lì interveniva sovente lo scultore o lo stuccatore, e sempre il pittore che riusciva a sostituire l’opera delle altre maestranze con effetti meraviglianti e ovviamente ad un costo minore.
Abbiamo in tal senso esempi eclatanti, quale la soluzione architettonica della Cappella Sistina, operata dal Maestro per eccellenza quale fu Michelangelo Buonarroti di Firenze, che riuscì a portare a maestosità degna del luogo una brutta stanza coperta con una volta a botte a tutto sesto, troppo alta e troppo lunga.
Ci si può appellare all’ormai noto discorso della finzione nell’arte, considerando l’opera architettonica realizzata dal pittore e la maestria nello “sfondare” con cieli e figure, la trina strutturale tessuta col pennello.
Ma il tempo testimonia che questo è il primo esempio di superamento della mera decorazione degli ambienti, che comunque la pittura per architetture auliche, private o religiose, aveva operato nel passato greco, romano e medioevale.
Chi non ha apprezzato le finte tende, gli arazzi dipinti sulle mura dei freddi stanzoni dei castelli germanici o francesi?
Ma il messaggio michelangiolesco venne raccolto dal Palladio e dal Tiepolo, interpreti assoluti e magnifici della integrazione delle arti figurative, esasperato poi nel ’600 nel realizzare finte absidi e cupole, come nella romana Chiesa di S. Ignazio.
E tutto prosegue in un fantastico crescendo finché non cade la testa di Luigi XVI. Qui si sovverte l’Ordine Sociale e, fedeli al motto evangelico, “gli ultimi saranno i primi”, i borghesi, nemici dell’aristocratico e del volgo, che sentono intuitivamente i valori universali della vita, decidono che le arti (ormai con la “a” minuscola), per meglio essere commerciate, devono divorziare ed avere vita indipendente e conseguentemente limitata.
Nasce il quadro da cavalletto, precedentemente considerato un “divertissement”, una pausa piacevole e personale dell’ Artista (ricordiamo la “Gioconda”, quadretto per appunti ed esercitazioni di Leonardo che lo ha seguito in tutte le sue peregrinazioni); ora forma più comoda di mercato perché si può portare sotto il braccio e mettere indifferentemente su qualsiasi parete anonima di abitazione o ufficio. Ma anche in questa nuova dimensione sussiste ugualmente il problema della prospettiva. Ricordo le serate trascorse insieme a Savonari parlando di intervento formale e fantastico nella correzione delle reali prospettive degli spazi architettonici.
Il concetto base è quello di frammentare la lettura prospettica della parete. Una parete, a seconda della nostra posizione nella stanza, ha un “fuoco” prospettico centrale, o spostato a destra, o a sinistra, oppure più alto o più basso. Ebbene in un dipinto di Baldo convivono le dinamiche di tutti i possibili spostamenti del fruitore dell’opera.
Con l’effetto di sconvolgere la lettura banale di un fatto e di farlo diventare storia corale. Ricordo in un giorno di improvvisa primavera, dopo un freddo e cupo inverno, di aver notato un quadro appeso al muro dello studio, allora in un’ala del casale in cui abita in Sabina.
Era un quadro che forse avevo avuto sempre sotto gli occhi ma che non avevo mai “visto”. Ma quel giorno un raggio di luce che penetrava dal lucernaio ed un fortuito spostamento dell’arredamento della stanza, mi diedero una forte emozione legata alla involontaria costruzione di una perfetta scenografia.
Il tavolino sul quale la sera prima Savonari aveva giocato a scacchi con qualche sfortunato antagonista era avvicinato alla parete, a lato della piccola finestra ed opposto alla gigantesca stufa di ghisa la cui canna fumaria termina a lato del lucernaio del tetto.
Sul tavolino, ancora la scacchiera con gli scacchi in disordine ed accatastati; sulla parete, tra la finestra e la stufa, illuminato da un raggio di sole penetrato dal lucernaio, un grido di rosso nel quale cavalli e torri salivano come aspirati dalla luce resa corposa dal pulviscolo.
Quest’emozione è quella che io intendo nella divina realtà dell’Arte: quando un elemento non architettonico entra in dialogo con l’architettura e ne amplia e ne sovverte i valori “funzionali”, nasce la poesia; si avvera il miracolo del dialogo tra le arti figurative. L’uomo ha bisogno di sensazioni; ma non tutti gli uomini le hanno vive e presenti in ogni momento della giornata.
Per questo il Pittore e lo Scultore e l’ Architetto (e non l’ingegnere) sono chiamati insieme a realizzare quelle atmosfere magiche in cui il funzionario di banca, il giocatore di calcio, il professionista, possono ritrovare la fantasia di cui li priva il lavoro quotidiano.
L’opera fondamentale dell’ultima produzione di Baldo Savonari è il gigantesco polittico ispirato alla “Battaglia di S. Romano” di Paolo Uccello. Quest’ultimo, pittore quattrocentesco, è il grande ispiratore di quasi tutte le poetiche pittoriche moderne. Dallo studio della sua opera nasce il cubismo, il futurismo, l’espressionismo ed il surrealismo.
Nella diatriba rinascimentale tra la pittura di colore e la pittura basata su una rigorosa conoscenza del disegno, Paolo di Dono inventa ed oppone la prospettiva di colore: un unico piano di proiezione verticale ed il colore, spesso surreale, che determina il movimento ed i piani prospettici.
Tutta l’arte moderna nasce da questo postulato. E Savonari, che da tempo studia il modo di dimostrare tale asserto, si cimenta oggi attingendo al soggetto più complesso della produzione del pittore rinascimentale in maniera provocatoria, usando l’ottica lucida e cromaticamente ricca che gli è propria, riscoprendo manierismi e cadute dei movimenti pittorici del passato ed ammiccando furbescamente al manifesto futurista.
Dissacrazione aperta, nel rispetto della tradizione artistica universale; soprattutto, direi, nel rispetto della dinamica prospettica della finzione architettonica di movimento, nella verticalità della parete liscia.
Illuminata artificialmente o naturalmente, in un ambiente dimensionalmente consono, l’opera che amerei definire il capolavoro di Baldo Savonari (ma ciò non sia limitativo e direi in un orecchio a Baldo aspettiamo ancora il tuo capolavoro), opererebbe quest’apertura irreale verso l’esterno fantastico che architettonicamente è impossibile, perché dominio della mente, necessaria al raggiungimento utopico della quarta dimensione, sempre ricercata dagli Artisti delle arti figurative.
Speriamo comunque che tutta questa fatica non subisca l’oltraggio di tante pale d’Altare che, smembrate e ridotte delle parti “non ambientabili” oggi decorano il bar dello studio o dell’appartamento alla moda.

(a.D. MCMLXXXVI)

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Considerazioni sull’importanza del colore in arte osservando un’opera di Baldo Savonari http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/considerazioni-importanza-colore.html http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/considerazioni-importanza-colore.html#comments Thu, 21 Apr 2011 22:24:23 +0000 animaperla http://savonari.animaperla.com/?p=500 di Massimiliano Savona

Prenderò spunto per questa considerazione dallo spunto che mi è stato suggerito e che ho rifiutato.
L’idea propostami era quella di scrivere un “pezzo” ispirandomi al trittico “Varianti cromatiche su tema obbligato”. Ho ovviamente rifiutato questa proposta per il motivo che andrò subito ad indicare.
Uno scrittore si pone di fronte a un quadro (o tre, come in questo caso) e deve trarne un racconto, una poesia o altro. Bene: che cosa deve prendere dal quadro?
Facciamo l’esempio del “nostro” trittico: di cosa dovrei parlare?
Degli scacchi? Di un giocatore di scacchi, che poi fa cose che non c’entrano assolutamente nulla col quadro? O dovrei narrare una storia ambientata in un colonnato tale e quale quello rappresentato qui? Mi sembrano collegamenti un po’ labili, scuse per inserire a tutti i costi il mio nome nel depliant. lo non so e non voglio ispirarmi a un’opera d’arte figurativa, tanto più che compongo opere di un’arte sostanzialmente astratta e riflessiva come la letteratura.
Sì, è vero: ci sono le descrizioni solo di una lunga e dettagliata descrizione.
Un racconto ha bisogno anche di azione e un quadro fotografa, sia pure in maniera del tutto particolare, un solo istante, anche quando simultaneizzato.
Se di fronte mi trovassi l’Omaggio a Paolo Uccello, che dovrei fare?
Comporre ottave alla maniera di Ludovico Ariosto? Diciamo la verità: ogni arte fa vita a sé. Ammetto l’idea che ci possano essere somiglianze tra arti dello stesso tipo (quelle figurative), ma la letteratura fa fatica ad ispirarsi ad un’altra opera, a meno che non si voglia comporre un sonetto in onore di …, un epigramma dedicato a …, oppure strumentalizzi l’opera per farne un’altra che non c’entra niente, che ha una sua propria vita, magari migliore, e allora tanto valeva non ispirarsi.
Potrei ispirarmi al pittore nel momento in cui dipingeva, o aveva l’idea del progetto: ma sarebbe uno spunto tratto da un’occasione puramente esteriore.
No: io credo che se comunanza ci può essere tra due modi di fare arte, può essere non di derivazione di una dall’altra, ma di parallelismo; nel senso di avere un modo simile di operare. Ma in questo caso il modo simile è tale per cui diventa impossibile l’ispirazione. Mi spiegherò.
Se un pittore si ispirasse ad un romanzo, che farebbe? Stenderebbe sulla tela delle parole, delle frasi; magari trarrebbe brandelli di parole, parti onomatopeiche usate dallo scrittore nella sua opera, o anche giochi di parole.
Li trasferirebbe sulla tela, utilizzerebbe caratteri diversi per dare vivacità ad un disegno su tela, disporrebbe a caso le parole etc… voilà, ecco riesumate le parole in libertà! No, no, siamo seri: come quadro risulterebbe veramente triste, con tutti quei caratteri neri stampigliati a mo’ di trasferibili sul bianco. Manca qualcosa. Vediamo: se uno scrittore effettuasse la stessa operazione al contrario? Voglio provarci: rosso, verde, giallo, ancora giallo, blu, viola, verde, un po’ di nero, arancio … Potrei proseguire per decine di pagine, ma come racconto sarebbe improbabile anche per la più incallita delle avanguardie.
Ecco cosa manca! Non lo avete ancora capito? Lo scrittore non può rendere appieno un’opera figurativa perché non può utilizzare il colore; così come il pittore non può fare il contrario. Certo: può colorare i caratteri da sparpagliare sulla tela, ma con quale criterio? Con un criterio arbitrario, che tradisce comunque l’opera di partenza; perché poi la gente guarderebbe al violetto dei caratteri ADDIO MONTI e non al fatto che c’è scritto ADDIO MONTI.
Che risulterebbe meno importante del colore; sopraffatto, direi, dal colore.
Provate a immaginare due pagine diverse, con l’inchiostro dello stesso colore, e due identiche con colori diversi: le prime due risulterebbero più somiglianti tra loro di quanto farebbero le seconde, a causa dell’impatto che il colore dà sull’occhio e anche di quelle sensazioni più irrazionali ed istintive per cui i colori colpiscono dritti alla parte più emotiva dell’animo.
Il colore sopraffà il carattere. E se questo succede al carattere tipografico, e diverso, figuratevi al bozzetto di un quadro, soprattutto se, come in questo caso, è il medesimo.
Ciò che segue non si spiega più: lo spiega per me, e per altri, il risultato meraviglioso di questa operazione che non esito a definire d’avanguardia.
Si sapeva, borbotterà qualcuno. Sì, ma visto dal vero fa tutto un altro effetto.
Prova, tu che dici che lo sapevi, a dire che il fuoco scotta, e poi scottati.
Dimmi se è lo stesso.
A questo punto a me non rimane che esprimere sulla pagine una “cromaticità” paragonabile a quella, non dico di tutto il trittico, ma di uno almeno dei tre quadri; anche di un quadro di Savonari che non sia tra questi, visto che il suo modo di procedere rimane lo stesso. Ecco: il miglior omaggio che io possa rendergli, la miglior ispirazione che la sua opera possa darmi è l’insegnamento a usare il colore, perché è vero che è la linea a dare il significato, ma è il colore che dà il tono, il timbro, la polpa, la musica, che rende davvero tridimensionale l’ opera che fino a poco prima rimaneva stesa a due dimensioni, inchiodata come una X nera su un muro bianco. D’altronde considerate la vita di tutti i giorni: lo stesso posto a seconda della luminosità, dell’opera, della stagione, è in realtà mille posti diversi.
Tutto è luce, è colore. O meglio: la luce e il colore sono tutto. Possono riuscire a rendere – e reggere – il disegno da sole.

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Un Critico, un Architetto, un Pittore http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/critico-architetto-pittore.html http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/critico-architetto-pittore.html#comments Thu, 21 Apr 2011 22:22:02 +0000 animaperla http://savonari.animaperla.com/?p=497 [Dino Ales, ottobre 1992 - In occasione dell'inaugurazione della mostra permanente al "Saracen hotel" di Isola delle Femmine, Palermo]

Potrebbe essere di facile lettura l’impegno figurativo di Baldo Savonari la cui denominazione — TERZOFUTURISMO — che ha la chiarezza di un proclama e l’ambizione, nemmeno tanto segreta, di una rifondazione, riassume e rilancia l’impegno fervoroso con cui l’intera cultura nazionale, ancor prima ed intorno alla manifestazione di Palazzo Grassi, si è accinta ad una rilettura se non, addirittura, ad una rivalutazione del Movimento Futurista, sopratutto per quegli aspetti che hanno interessato le arti visive. Ma nella pittura di Savonari, ritengo, quella futurista è soltanto una componente, anche se la più importante e, lungi dall’essere, come è accaduto per tanta pittura contemporanea, una citazione, in qualche modo è invece un tentativo, peraltro ben riuscito, di percorrere nuove strade, ma con alle spalle una storia antica ed un grosso bagaglio culturale: la storia e la cultura europea di questo secolo, certo, con le inquietudini, le scoperte, i tormenti, le angosce, i drammi, le conquiste che gli appartengono, ma legate a quel filo, come egli stesso dice, che inizia a scorrere dalla fine del Medioevo e dal Rinascimento, attraverso sei secoli, fino a giungere a questo nostro tempo.

Il Futurismo nacque come antitesi violenta sia verso l’arte ufficiale del tempo che verso il verismo umanitario, dando fiato ad una diffusa, prorompente aspirazione verso la modernità. Alla sua base vi era un gorgo di idee e sentimenti disparati in cui, almeno per alcuni dei suoi promotori, la volontà di rinnovamento non era né puramente plastica né puramente rivoluzionaria.

Oltre a quei caratteri che contribuirono a decretarne una frettolosa archiviazione e, cioè, un certo infantilismo ed un istrionismo deteriore, c’era sicuramente dell’altro: l’inquietudine, l’insoddisfazione di fronte alla pigrizia e all’inerzia della cultura ufficiale, l’ansia di una verità diversa da quella dei borghesi e dei filistei.

Da questo confuso groviglio di energie in quegli anni emerse una visione artistica aperta alla nuova problematica che in Europa si stava svolgendo. Fu il primo movimento di avanguardia in Italia e, come tale, un movimento che preparò e annunciò un radicale rivolgimento della cultura e del costume, negando in blocco tutto il passato: certo, il suo intento rivoluzionario si ridusse, in gran parte, ad estremismo polemico e coincise con quel furore nazionalistico che permeava gli spiriti di molti contemporanei.

Savonari, che invece è uomo ed artista di equilibrio e di ragione, al Futurismo attinge il gusto della sperimentazione e l’uso della intuizione geniale: lo interessa lo studio delle vibrazioni luminose, la rappresentazione sintetica del moto e, cioè, la vita stessa della materia, la evocazione della intensità vitale dei fenomeni.

Lo affascina l’esperienza di Balla, quello delle “compenetrazioni iridescenti”, tutte giocate sulla giustapposizione seriale di forme geometriche e di colori puri; opere che possiamo definire tra i primi straordinari esempi di una pittura non figurativa in Europa.

Lo stimola, credo, e lo coinvolge, sopratutto del Primo Futurismo, quel rinnovamento della sensibilità di fronte alla realtà contemporanea della quale volle capire i cambiamenti per atteggiarsi in sintonia con la invenzione o la scoperta di una nuova tematica, che comunque arricchì il repertorio delle immagini poetiche del mondo figurativo.

In questo senso credo che del Futurismo Savonari condivida l’assetto che ad esso diede Boccioni, il quale nel suo sforzo creativo e teorico tese a definirlo come sintesi dei valori formali divisionisti e cubisti, ma anche dei valori espressionistici.

Anche lui, come Boccioni e Picasso, non sfugge alla condizione creativa che fa dell’opera il risultato espressivo della emozione: è quell’aspetto irrazionale che nella sua pittura, pur così lucidamente razionale, si rivela come una sorta di ebbrezza drammatica, che denuncia la volontà dell’artista di far scaturire dall’interno delle cose le energie infinite della natura. Al Cubismo poi, l’altra robusta radice della sua pittura, Savonari attinge in un tentativo verso l’infinito, verso l’eterno, volendo fissare sulla tela tutte le facce, tutti i momenti dell’oggetto, la sua varietà ininterrotta di apparenze e di segni.

Mi sovviene ciò che scrive Elouard a proposito di Picasso:
” …a dispetto delle nozioni intorno al reale oggettivo, Picasso ha ristabilito il contatto tra l’oggetto e colui che lo vede e che, di conseguenza, lo pensa: egli ci ha ridato, nella maniera più audace, più sublime, le prove insuperabili dell’esistenza dell’uomo e del mondo”.

Carlo Carrà, che nel Futurismo trascorse una stagione estremamente creativa, nel ‘16 lasciava il Movimento per la pittura metafisica: non scrisse più di futuro e di velocità, non invocava più la distruzione di Venezia e dei musei, anzi ricercava insieme ad altri il carattere antico della nostra cultura: intorno alla rivista romana di Broglio, “Valori plastici”, si tentava di ritrovare i valori figurativi nazionali italiani attraverso Io studio dei Maestri: Giotto, Masaccio, Piero della Francesca, Paolo Uccello.

Sì, quel Paolo Uccello che Savonari con una punta di audacia definisce il padre antico del Futurismo, formulando in proposito la seducente ipotesi di quel filo di cui parlavamo prima, che lega, tra l’altro, la scoperta della prospettiva di Paolo alla bella follia del Movimento: un filo, come dice il Nostro, che rende veramente diversa la pittura italiana da qualsiasi altra pittura.

“Paolo Uccello ebbe il senso dei valori tattili e gusto del colore — scrive Berenson — ma la sua vera passione era la prospettiva: per lui la pittura non fu che occasione per risolvere i problemi di tale scienza… Cavalli riversi, guerrieri morti o morenti, lance rotte, campi arati ed arche di Noè gli servono, appena con un’ombra di dissimulazione, per i suoi impianti di linee matematicamente conseguenti. Nel suo zelo egli dimenticò il colore reale, gli piaceva dipingere i cavalli in verde e in rosa!…”. Fin qui Berenson.

Prendete l’opera che Savonari dedica ad Uccello, alla sua celebre battaglia: quattro fughe prospettiche, quasi delle traiettorie, lungo le quali idealmente si pongono, staticamente eppure in perenne corsa, cavalieri e cavalli, spade e lance e durlindane, elmi e corazze. Un movimento, appunto, un vortice fantasmagorico ottenuto col mescolarsi di una infinita serie di segni, di figure geometriche distinte e nel contempo fuse, una antologia di accenti futuristi e cubisti, di cui non sai se lodare la perizia raffinata o stupirti del turbinio galoppante della fantasia.

Una battaglia, in fondo, dipinta come Uccello l’avrebbe dipinta se fosse vissuto in questo nostro secolo.

Ovviamente siamo lontani un miglio da ogni intento citazionistico, sia per quanto riguarda la pittura di Uccello che, lo abbiamo detto, per l’uso che Savonari fa, rigoroso e spregiudicato ad un tempo, del linguaggio futurista e di quello cubista.

Ci troviamo, invece, a mio avviso, nel caso di un artista che possiede un suo linguaggio, nel senso già intuito da Vico, secondo cui il linguaggio stesso nasce come reazione emotiva dell’uomo all’incontro con le cose e, quindi, è esso stesso poesia.

Mi sovviene, a tal proposito, quanto Savonari stesso mi raccontava davanti ad un quadro presente in questa sua collezione del Saracen, “Sinfonia Siciliana”: un quadro nel quale arance, colori, una stessa temperatura che vi si scorge, sono tutti elementi raccordati, appunto, sinfonicamente a narrare d’una Sicilia non certamente oleografica, ma densamente sognata, misteriosamente sottesa oltre i clamori della invenzione pittorica.

Era il suo pennello a tracciare quei segni e quei colori proprio a Capaci, nel momento stesso della orrenda deflagrazione che sbriciolava in aria le macchine che conducevano da Punta Raisi a Palermo Falcone e la sua scorta.

Savonari mi ha raccontato d’aver continuato a dipingere con l’eco della esplosione nelle orecchie quella Sicilia incantata e rappresa nel suo sogno di pittore, non certamente per placare la sua disperazione, ma per ricondurla ad una qualche razionalità. Una pacata razionalità nella quale l’artista, continuando ad essere tale, nel rifiuto di ogni urlato, sterile impegno antimafia, fosse testimone autentico del suo tempo, della sua terra e della sua tragedia, ma — perché no? — della sua poesia, del suo sogno che, oltre ogni strage, continua a sopravvivere.

In fondo non è un caso se proprio quel sogno induce un illuminato imprenditore a trasformare, nel suo ventennale, un albergo, dimora per vacanze, in qualcosa di più e, cioè, la sede di una collezione d’arte del nostro tempo: uno dei luoghi in cui il sogno si materializza, compiendo quel miracolo che fa di una terra come la nostra una terra comunque nobilissima e gli uomini che vi abitano o soltanto vi transitano senza dubbio migliori.

Anche se si sottrae a ogni tentativo di classificazione, il campo dell’immaginario non è quello dell’anarchia e del disordine: ciò è tanto più vero nell’immaginario che costituisce la fonte, il sostrato di questa pittura. Le creazioni più spontanee obbediscono a leggi interne: anche i simboli che Savonari usa (alveari, conchiglie, strumenti musicali, piramidi…) si iscrivono in una logica e, più che essere creazioni dell’inconscio, sono forme nuove, che vanno ad ascriversi ad un immaginario contemporaneo, talvolta dal significato inquietante, come inquieto è l’intelletto di questo autore e come inquieto è il tempo che egli intensamente vive.

E’ sempre la ragione che organizza il caos apparente di queste composizioni, le quali poi non sono che un pretesto per parlare di colore, con il quale egli riesce a esprimere pulsioni vitali, esperienze totali del suo io che nascono grazie al gioco inesauribile e complesso dei legami che tessono il suo divenire e quello del mondo cui appartiene e dal quale assume la materia del suo racconto pittorico.

Ma davanti a queste opere non possiamo che ripetere quanto altre volte è stato detto o intuito: l’arte è un modo di esistere. Non ha senso chiedersi a che cosa serve, poiché non troveremo mai una risposta convincente, come non ne troviamo, almeno più convincenti, per lo stesso nostro esistere, o per l’amore, o per gli ideali.

Diciamo, semplicemente, che l’arte c’è, e ad ognuno di noi essa riesce a dare il suo messaggio, più o meno intenso, nella misura in cui ci apprestiamo a ricercarne il senso nascosto.

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L’Arte è Motore http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/larte-e-motore.html http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/larte-e-motore.html#comments Thu, 21 Apr 2011 22:19:17 +0000 animaperla http://savonari.animaperla.com/?p=493 L’ARTE NON E’

ORPELLO

L’ARTE E’ MOTORE

 


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I miei libri http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/i-miei-libri.html http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/i-miei-libri.html#comments Thu, 21 Apr 2011 22:06:01 +0000 animaperla http://savonari.animaperla.com/?p=485 Rapido per la Pazzia

Ogni uomo è convinto che la storia della propria vita sia degna di essere narrata.
Come sarebbe bello se ciò fosse vero e che ogni uomo vivesse la propria vita in modo da essere degna di essere narrata.

 

 

 

 

Giovane è la notte

Gli occhi ancora caldi di letto e fuori il mondo pronto a tagliarti le gambe.
Ci vuole coraggio a mescolare i propri passi al frastuono collettivo, il proprio respiro a quello di tutti e far finta di niente.
Ascoltare il bollettino di guerra dei disastri quotidiani e prepararsi un caffè pensando nel più profondo del più profondo: “Meno male che questa volta non è toccato a me”.
Ci vuole coraggio, ci vuole veramente tanto coraggio, con gli occhi ancora caldi di letto, a immergersi nella lotta, nella guerra quotidiana.

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Appunti per uno studio comparato http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/appunti-per-uno-studio-comparato.html http://www.savonari.com/la-mia-tela/testi/appunti-per-uno-studio-comparato.html#comments Thu, 21 Apr 2011 21:53:21 +0000 animaperla http://savonari.animaperla.com/?p=476 I futuristi hanno avuto verso il dinamismo della forma e del colore lo stesso tipo di magnifica follia che hanno avuto i pittori del Rinascimento verso la prospettiva.
In pittura ci sono stati “accidenti” determinati a volte dal contenuto dell’opera, ma può avvenire benissimo che concetti puramente formali possano influenzare il contenuto stesso dell’opera, sia palesemente, sia subdolamente. Microscopica premessa per entrare nello specifico dell’ argomento.
Potrei cominciare dicendo che in “Verità, in Verità vi dico che il futurismo ha un padre antico” ovvero Paolo di Dono detto Uccello, ma io non credo nella “Verità” e parlerò soltanto della mia piccola verità. Non ho certezze ma dubbi atroci che mi fanno svegliare di soprassalto in piena notte, per farmi annotare pensieri da controllare al sorgere del sole.
Il sole sorge, gli incubi notturni scompaiono e tutto mi appare più chiaro.
Ne sono quasi certo: i futuristi a livello puramente formale hanno molto a che vedere con le tre battaglie del di Dono.

 

 

Formulo sull’argomento tre ipotesi:

1° I futuristi hanno guardato molto Paolo e poi lo hanno elaborato sintetizzandolo nella forma e nel movimento con palese determinazione o inconsapevolmente. Come avviene questo processo?
Si ha un’idea che serpeggia per la mente da tempo, ma non si riesce a trovare quello stato di grazia che comunemente si chiama ispirazione e allora si esce dallo studio, si va per strada, si visitano i musei, si osservano attentamente maestri antichi e moderni, si leggono libri, si parla con altri pittori, con qualche poeta; si beve un po’, ci si dispera un po’, si passa qualche notte in bianco e si ritorna a guardare qualche vecchio dipinto, magari agli UFFIZI magari solo fermandosi più del solito davanti alla Battaglia di San Romano… e improvvisamente una forma, un colore colpiscono l’idea in ombra che si ha in mente e l’idea si illumina, prende corpo e allora lo “spallaccio” di una corazza diventa un segno da ridisegnare, da proporre, da far muovere sulla superficie di una tela.
Le bandiere diventano colori da agitare nel vento, le lance assumono una sequenza ritmica, un senso di movimento simile a fotogrammi cinematografici (parte sinistra della Battaglia del Louvre) e si scopre che i cavalli sono viola, rosa, verdastri e la rivelazione diventa sempre più importante: “Surrealismo”; e la parola affiora e prende consistenza: “Surrealismo”. La testa comincia a girare un po’, si corre in studio, ci si chiude dentro e si dipinge e si ridipinge la battaglia fino a ridurla a sequenza interminabile di “spallacci” che ormai si sono evoluti e trasformati in triangoli, trapezi, rettangoli e quadrati, colorati secondo le regole della complementarietà, escludendo completamente qualsiasi rapporto con la natura ma parlando della natura stessa dei colori e delle forme e ponendosi in un rapporto equivalente e non uguale alla natura. Forse è accaduto proprio così? … Chi lo sa !?

2° Sempre alla ricerca della famosa luce che deve illuminare l’idea latente nella penombra del pensiero, si lavora in studio pensando a tutto quello che si conosce, mentre si elaborano teorie sui colori, sul movimento, sui toni che si allontanano e si avvicinano pur stando sulla stessa linea d’ORIZZONTE, per il semplice fatto di essere caldi o freddi (come propriamente si dice); si pensa alla sagoma dell’automobile che comincia a sfrecciare lungo le strade fra architetture antiche e moderne, si pensa alla locomotiva in corsa, a una serie di colori che facendola girare a una velocità “x”, produce tonalità diverse che facendola girare ad una velocità “y”; ma nella memoria ci sono le forme registrate per sempre delle corazze, degli spallacci, delle lance, delle bandiere. Inevitabilmente, quasi senza saperlo, si comincia a dipingere una locomotiva in corsa e ci si accorge che assomiglia ad una antica armatura con spallacci, ginocchietti, gambieri e cubitieri (parte destra della Battaglia degli Uffizi).

3° Dal Rinascimento ad oggi c’è nella pittura italiana un sottilissimo filo sul quale corre l’emozione del Rinascimento ed arriva al Futurismo attraverso le forme, il colore, il dinamismo e l’atmosfera surreale delle “Battaglie” di Paolo Uccello. Un filo sottile ma fortissimo che lega la scoperta della “Prospettiva” alla bella follia del “Movimento”, un filo che rende veramente diversa la pittura italiana da qualsiasi altra pittura.
Questo filo è dentro di noi: non potremo liberarcene neanche volendo e qualsiasi volontà di rinascita dovrà sempre fare i conti con la precedente rinascita. Nulla di nuovo veramente solido ed interessante si crea che non sia legato al filo che inizia alla fine del Medioevo, attraversa sei secoli, migliaia di artisti ed arriva a noi.
Ed ora cercate di scoprirlo da soli: esaminate attentamente certi quadri di Umberto Boccioni come “Carica dei lancieri” (1915) e “Gli addii, stati d’animo II” (1915); di Carlo Carrà, come “Cavallo e cavaliere” o “Il cavaliere rosso” (1913) e “La Galleria di Milano” (1912); di Gino Severini, come “Lancieri italiani al galoppo” (1913); di Giacomo Balla, come “La mano del violinista o ritmi del violinista” (1912) e “Dinamismo di un cane” (1912) ed altri futuristi e divertitevi a compararli con certe forme di certi particolari delle “Battaglie”; scoprirete le vostre verità e cosa ancora più importante vi divertirete imparando… perché l’arte è anche questo: “Grande divertimento”.

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